Il FAI, come prendersi cura del nostro territorio

Il territorio italiano racchiude al suo interno un bagaglio ricco di storia, cultura ed arte, ed è qui che un ruolo fondamentale è svolto dal FAI (Fondo Ambiente Italiano) che ha come obiettivi principali, la valorizzazione e la conservazione del patrimonio artistico e culturale della nostra nazione.

Per capire il ruolo di questa fondazione, abbiamo intervistato l’architetto Beniamino Attoma Pepe, capo Delegazione FAI Brindisi.

 

Il FAI (Fondo Ambiente Italiano) ha come obiettivi principali la valorizzazione e la conoscenza del patrimonio artistico culturale del nostro Paese, come anche la conservazione e salvaguardia di questo. Nel rispetto di questi obiettivi, quali sono le iniziative che il FAI adotta e quali nello specifico in Puglia?

Come opportunamente ricordato, il Fondo Ambiente Italiano dal 1975 è impegnato nella missione di portare alla conoscenza degli italiani il nostro straordinario patrimonio culturale, molto diverso da regione a regione per storia e origini. Nel rispetto del principio per cui “si ama ciò che si conosce”, il passaggio dalla conoscenza alla valorizzazione è stato sostanzialmente naturale e oggi il FAI gestisce quasi 60 beni distribuiti su tutto il territorio nazionale e questo dato è in costante aumento grazie al crescente interesse degli italiani, alle donazioni di privati cittadini e ai rapporti intrattenuti con alcuni enti pubblici che hanno portato alla stipula di accordi di concessione.

Ed è proprio attraverso una concessione trentennale con la Provincia di Lecce, che il FAI nel 2009 ha adottato il primo bene in Puglia, l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate a Squinzano e ha potuto avviare un intenso programma di restauri sul complesso, un intervento appena concluso, per riportare quel luogo alla dignità che merita impiegando risorse proprie in massima parte e contributi regionali. L’Abbazia di Cerrate è quindi tornata al fascino e all’importanza che la comunità locale riconosceva, proiettandosi in uno scenario internazionale di interesse.

 

Il FAI si circonda di numerosi volontari che mettono a disposizione il loro tempo e le loro conoscenze per far scoprire ai visitatori la bellezza del patrimonio artistico e culturale del nostro territorio. Qual è la motivazione, che secondo lei, li spinge a fare tutto questo?

La struttura del Fondo Ambiente Italiano è cresciuta moltissimo negli ultimi anni, sia al livello centrale come organizzazione e uffici, sia al livello periferico e oggi possiamo contare 120 delegazioni provinciali, 87 Gruppi FAI e 89 Gruppi FAI Giovani. In Puglia la fondazione è presente con 6 delegazioni provinciali, 5 Gruppi FAI e 3 Gruppi Giovani.

Un volontario si avvicina quando è ispirato e stimolato a conoscere il proprio territorio e vuole offrire un proprio contributo di tempo, risorse e buona volontà. In qualche caso, lo stimolo arriva da un moto di orgoglio, un modo per riscattare la propria terra e per reagire all’inerzia generale e di fronte allo stato di degrado di molti luoghi a cui le comunità locali sono affezionate.

Vedere quanta passione può portare e trasferire agli altri un volontario o uno studente nelle vesti di Apprendista Cicerone durante gli eventi nazionali della fondazione, è di ispirazione anche per noi delegati e gratifica il nostro impegno.

 

Come hanno risposto in Puglia i visitatori alle due giornate FAI dello scorso 24 e 25 marzo dove è stato possibile visitare luoghi normalmente chiusi al pubblico, e qual è stato il luogo più visitato?

Per le scorse Giornate di Primavera, in Puglia le delegazioni provinciali hanno organizzato 49 aperture e il bene più visitato è stato l’Auditorium “Nino Rota” del Conservatorio Piccinni di Bari con circa 4.500 persone e anche Lecce, con le aperture dei palazzi impiegati in passato come set per alcuni noti film, ha registrato numeri molto rilevanti.

A Brindisi ci siamo concentrati sul capoluogo e abbiamo voluto offrire una lettura aggiornata della “valigia delle Indie”, ricostruendo un periodo di grande gloria per la città e per il porto, allorquando una compagnia di navigazione inglese faceva scalo in città lungo il percorso da Londra a Bombay, attraverso una narrazione con documenti inediti e la visita al giardino di Palazzo Montenegro e il grande Albergo Internazionale.

L’affluenza è stata straordinaria, circa 900 persone hanno visitato i nostri luoghi e ascoltato il racconto degli Apprendisti Ciceroni degli istituti scolastici di Brindisi e Francavilla, adeguatamente formati dai nostri volontari.

La coincidenza con la domenica delle Palme e le condizioni meteorologiche avverse hanno certamente pesato ma siamo tutti molto soddisfatti per l’apprezzamento che la nostra proposta ha ricevuto.

La nostra Delegazione è stata costituita nel 2015 e in meno di 3 anni siamo riusciti a portare avanti molte iniziative non solo nel capoluogo ma in molti comuni della provincia. La recente costituzione del Gruppo Giovani di Brindisi è un risultato raggiunto prima delle previsioni e significa che i ragazzi brindisini sono attratti dal FAI e soprattutto sono attratti dalla propria terra di origine.

 

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Caso “dieselgate”: la legge e il colosso Volkswagen

In questo articolo di blog abbiamo deciso di intervistare l’Avvocato Giuseppe Dipasquale che è stato uno tra i primi legali in Italia ad aver presentato diverse denunzie-querele nei confronti del colosso Volkswagen per il caso “dieselgate”, uno dei casi che ha fatto maggiormente discutere e che ha coinvolto il territorio sia a livello nazionale che internazionale.

 

1 – Come ci si sente ad aver intrapreso una causa contro un grande colosso come quello Volkswagen?

Innanzitutto vorrei precisare che la mia iniziativa giudiziaria è consistita nel deposito di diverse denunzie-querele per i reati di frode in commercio e truffa aggravata, nei confronti dei vertici, sia tedeschi che italiani, dell’organigramma del gruppo Volkswagen, in virtù delle rispettive “posizioni di garanzia” ricoperte.

E ciò in quanto ho subito ritenuto, sin dal settembre 2015, quando la collettività ha avuto modo di apprendere per la prima volta dello scandalo “dieselgate”, che le condotte poste in essere dalla casa automobilistica fossero idonee ad integrare delle ipotesi di reato.

E questo poiché agli acquirenti sono state vendute e consegnate autovetture con caratteristiche, in ordine a prestazioni consumi ed emissioni, ben diverse, rispetto a quelle dichiarate, diffuse e pubblicizzate dal gruppo Volkswagen.

Per chiarezza e completezza, ed in maniera molto sintetica, voglio specificare che cosa si intende nello specifico con “dieselgate”.

Si fa riferimento a condotte che il gruppo Volkswagen, dall’anno 2009,  avrebbe posto in essere con l’inserimento di alcune linee di codice nel software “defeat device” delle centraline di diverse autovetture, linee che permettevano di riconoscere se le stesse auto erano utilizzate su strada o se, invece, era in corso su di esse un test per valutare le emissioni di ossidi di azoto.

Ebbene, questo sistema avrebbe avuto la possibilità di valutare la velocità, la pressione, dell’aria ed i movimenti di pedali e sterzo dell’autovettura su cui era installato e, se identificava la situazione come un test anti-smog, attivava il controllo sulle emissioni inquinanti, facendole risultare, dunque, decine di volte inferiori rispetto a quelle reali riscontrabili nell’utilizzo su strada del mezzo.

Pertanto, mediante tale “stratagemma”, i risultati relativi alle emissioni inquinati delle autovetture sarebbero stati falsati da Volkswagen, poiché questi venivano fatti apparire al di sotto degli standard sull’inquinamento imposti dalla Environmental Protection Agency, quando, invece, erano ben superiori a tali limiti.

Però ci tengo a chiarire e precisare che, a tutt’oggi, in Italia, quanto innanzi rappresenta solo una mera ipotesi accusatoria che è al vaglio degli Organi inquirenti.

Dunque, allo stato, i procedimenti penali risultano ancora in fase di indagini, in particolare presso la Procura della Repubblica di Verona ove è in corso un incidente probatorio diretto a verificare, a mezzo di tecnici specializzati che stanno eseguendo specifici test su alcune autovetture, se queste, a seguito dell’aggiornamento del software incriminato, conservano le proprie caratteristiche tecniche in ordine a consumi prestazioni ed emissioni.

Naturalmente, non nascondo che è stato sicuramente motivo di soddisfazione scoprire ed appurare di essere stato tra i primi legali in Italia ad aver presentato per i fatti in questione diverse denunzie-querele nei confronti del colosso Volkswagen, anche perché è stata un’occasione per confrontarmi con colleghi, anche estremamente importanti e rinomati, di ogni regione.

Dunque, comunque vada, è stata sicuramente una importante e preziosa esperienza, nonché una iniziativa giudiziaria che mi ha arricchito tantissimo dal punto di vista umano e professionale.

 

2 – Quali sono stati i punti di forza a sostegno della causa da un  punto di vista ingegneristico?

Dal punto di vista prettamente ingegneristico non ho le competenze per dire quali sono i punti di forza sui quali faranno leva i consulenti incaricati dalla procura di Verona per verificare l’incidenza di questo software sui dati relativi alle caratteristiche delle autovetture.

L’unica certezza, allo stato, è che questo software esiste ed è installato su diverse autovetture così come confermato, con note ufficiali, dallo stesso gruppo Volkswagen.

Inoltre, ci tengo a ricordare che Volkswagen ha già patteggiato negli Stati Uniti una pena pecuniaria per il medesimo scandalo “dieselgate”.

Dunque, sarà cura degli ingegneri incaricati fare luce su questa situazione, appurando la verità dei fatti, qualunque essa sia.

 

3 – Secondo lei questo può essere il principio per una class action che potrebbe da lei essere rappresentata legalmente?

Parto dalla premessa per cui io ho presentato distinte ed autonome denunzie-querele per ogni soggetto che ha voluto intraprendere azioni giudiziarie nei confronti del gruppo Volkswagen.

Dunque, io, più che una vera e propria class action, ho preferito mantenere le azioni giudiziarie “parallele”, autonome ed indipendenti l’una dall’altra.

Diciamo che le class action vere e proprie si concretizzano in sede civile, anche se in Italia, i dati di comune esperienza ci insegnano da diversi anni che tali iniziative non hanno concretamente mai avuto grande fortuna, anche in termini di soddisfacenti risarcimenti economici per i consumatori.

Posso solo dire al momento che, se sarà esercitata l’azione penale nei confronti dei vertici del gruppo Volkswagen, io procederò, per ogni singolo soggetto, ad effettuare una autonoma costituzione di parte civile nel relativo processo penale, al fine di vedere riconosciuta la penale responsabilità degli imputati e, conseguentemente, il risarcimento dei danni subiti dai miei assistiti.

 

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